LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE 
 
    Ha pronunciato la seguente ordinanza interlocutoria  sul  ricorso
27788-2006 proposto da I.N.P.S. - Istituto nazionale della previdenza
sociale,  in  persona  del   legale   rappresentante   pro   tempore,
elettivamente domiciliato in Roma, via della  Frezza  n.  17,  presso
l'Avvocatura centrale dell'Istituto,  rappresentato  e  difeso  dagli
avvocati Coretti Antonietta, Correra Fabrizio, Sgroi Antonino, giusta
delega in atti ricorrente; 
    Contro ASPES multiservizi S.p.a., ASPES S.p.a. intimati; 
    E sul ricorso 31499-2006 proposto da ASPES  multiservizi  S.p.a.,
ASPES S.p.a., in qualita' di  successori  di  ASPES  Azienda  Servizi
Pesaresi,  in  persona  del  legali   rappresentanti   pro   tempore,
elettivamente domiciliati in Roma, via L.G. Faravelli n.  22,  presso
lo studio dell'avvocato Maresca Arturo, che li rappresenta e difende,
giusta delega in atti controricorrenti e ricorrenti incidentali; 
    Contro I.N.P.S. - Istituto nazionale della previdenza sociale, in
persona  del  legale  rappresentante   pro   tempore,   elettivamente
domiciliato in Roma, via della  Frezza  n.  17,  presso  l'Avvocatura
centrale dell'Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati Coretti
Antonietta, Correra Fabrizio, Sgroi Antonino, giusta delega  in  atti
controricorrente al ricorso incidentale; 
    Avverso la sentenza n. 439/2005 della Corte d'appello di  Ancona,
depositata il 17 ottobre 2005 R.G.N. 312/04; 
    Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza  del
12 aprile 2011 dal Consigliere dott. Vincenzo di Cerbo; 
    Udito l'avvocato Sgroi Antonino; 
    Udito l'avvocato Grassi Monica per delega Maresca Arturo; 
    Udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.
Pietro  Gaeta  che   ha   concluso   per   sollevare   questione   di
costituzionalita' in riferimento all'art. 6, comma 2, della legge  11
gennaio 1943, n. 138. 
Udienza 12 aprile 2011 
 
                      Svolgimento del processo 
 
    Con ricorso al giudice del  lavoro  di  Pesaro  l'ASPES,  Azienda
Servizi Pesaresi, chiedeva che, previo accertamento della sua  natura
di  ente  pubblico  ai  fini  della  contribuzione  previdenziale   e
assistenziale INPS per il periodo febbraio 1990 - 31 agosto 2000,  il
giudice adito la dichiarasse esentata dall'obbligo di  pagamento  dei
c.d. contributi  minori  e  cioe':  TBC,  ENAOLI,  CUAF,  Fondo  TFR,
maternita'  e  malattia,  con  conseguente   condanna   dell'INPS   a
restituire alla ricorrente le somme indebitamente  percepite  per  le
suddette causali nel periodo febbraio 1990 - maggio 2000. 
    Costituitosi il contraddittorio,  il  Tribunale  di  Pesaro,  con
sentenza  non  definitiva,   dichiarava   il   diritto   dell'azienda
ricorrente, alla quale erano succedute la ASPES  s.p.a.  e  la  ASPES
Multiservizi s.p.a., ad  essere  inquadrata,  ai  fini  contributivi,
nella categoria degli enti pubblici fino al 31 agosto  2000;  con  la
conseguenza che le aziende stesse non erano  tenute  a  corrispondere
all'INPS, a partire dal 13 settembre 1990, i contributi TBC,  ENAOLI,
fondo TFR, malattia  e  maternita'  e,  dal  13  settembre  1995,  il
contributo CUAF; le suddette esenzioni cessavano  alla  data  del  31
agosto 2000. Il Tribunale disponeva inoltre attivita' istruttoria per
la quantificazione, della somma corrispondente ai contributi  versati
indebitamente. 
    La Corte  d'appello  di  Ancona,  in  parziale  accoglimento  del
gravame  proposto  dall'INPS,  respingeva  la  domanda   dell'azienda
ricorrente in primo grado limitatamente all'obbligo di pagamento  dei
contributi di malattia e al  conseguente  diritto  alla  restituzione
delle somme versate a tale titolo. Confermava nel resto  la  sentenza
impugnata.  Ad  avviso  della  Corte  territoriale  i  contributi  di
malattia erano dovuti in applicazione del principio  enunciato  dalla
Sezioni Unite di questa Corte (Cass. SSUU, 27 giugno 2003  n.  10232)
secondo cui l'art. 6, secondo comma, della legge n. 138 del 1943, che
esonera l'INPS dal pagamento dell'indennita' di  malattia  quando  il
relativo trattamento economico venga  corrisposto  per  legge  o  per
contratto collettivo dal datore di  lavoro,  non  vale  ad  esonerare
quest'ultimo dall'obbligo di versare la contribuzione previdenziale a
favore dell'INPS, atteso che, da una parte, in  virtu'  del  generale
principio  di  solidarieta'  che  costituisce  il  fondamento   della
previdenza sociale, non esiste fra prestazioni e contributi un  nesso
di reciproca giustificazione causale,  sicche'  ben  puo'  persistere
l'obbligazione contributiva a  carico  del  datore  di  lavoro  anche
quando per tutti  o  per  alcuni  dei  lavoratori  dipendenti  l'ente
previdenziale non sia tenuto a certe prestazioni, e che,  d'altronde,
la predetta obbligazione contributiva partecipa  della  natura  delle
obbligazioni   pubblicistiche,   equiparabili    alle    obbligazioni
tributarie, sottratte alla  disponibilita'  di  negozi  giuridici  di
diritto privato, quali devono ritenersi, nell'attuale ordinamento,  i
contratti collettivi. 
    Per  la  cassazione  di  tale  sentenza  l'INPS  propone  ricorso
affidato  ad  un  unico,  complesso  motivo;  ASPES  s.p.a.  e  ASPES
Multiservizi s.p.a., in qualita' di enti successori di ASPES  Azienda
Servizi Pesaresi, resistono con controricorso  e  propongono  ricorso
incidentale. L'INPS ha  proposto  controricorso  avverso  il  ricorso
incidentale. 
    Preliminarmente deve essere disposta la riunione dei  ricorsi  in
quanto proposti avverso la stessa sentenza. 
    Con l'unico motivo del ricorso incidentale ASPES s.p.a.  e  ASPES
Multiservizi  s.p.a.  denunciano  violazione  e  falsa   applicazione
dell'art. 6, comma 2, della legge n. 138  del  1943  con  riferimento
alla statuizione della sentenza impugnata che ha  affermato  il  loro
obbligo di versare all'INPS i contributi di malattia. Premesso che la
norma sopra citata prevede  che  l'indennita'  di  malattia  posta  a
carico dell'ente assistenziale non e'  dovuta  quando  il  datore  di
lavoro e' tenuto a corrispondere, in forza di legge o  di  contratto,
un trattamento economico ai lavoratori assenti per  malattia  pari  o
superore  all'indennita'  di  malattia  stessa,  deducono   che,   in
applicazione di tale norma, le stesse non sono  tenute  al  pagamento
del relativo contributo atteso  che  una  norma  collettiva  ad  esse
applicabile (l'art. 32 c.c.n.l.)  prevedeva  espressamente  l'obbligo
del datore di lavoro di corrispondere direttamente il trattamento  di
malattia. Le societa' ricorrenti incidentali  deducono  altresi',  in
via subordinata, che, ove  si  dovesse  accogliere  l'interpretazione
dell'art. 6, secondo comma, sopra citato offerta dalle Sezioni  Unite
della Cassazione nella sentenza  (Cass.  SSUU,  27  giugno  2003,  n.
10232) richiamata dalla Corte territoriale, si porrebbe una questione
di legittimita' costituzionale  della  norma  stessa  per  violazione
degli artt. 2  e  3  della  Costituzione.  Ed  infatti  l'obbligo  di
solidarieta', gravante sulle  imprese,  sarebbe  distribuito  fra  le
stesse in modo illogico e  irrazionale  in  quanto,  in  particolare,
tutte le imprese, sia quelle  tenute,  in  base  alla  contrattazione
collettiva, a versare l'intera retribuzione al lavoratore malato, sia
quelle  non  tenute  a  tale  versamento,  sarebbero   ugualmente   e
ingiustificatamente   tenute   a   corrispondere   per   intero    la
contribuzione. 
    Sulla  questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  6,
secondo comma, della legge 11  gennaio  1943,  n.  138  il  Collegio,
nell'accogliere  pienamente   le   argomentazioni   del   Procuratore
Generale,  che  ha  concluso  per  la  rilevanza  e   non   manifesta
infondatezza della questione suddetta, osserva: 
1. Sulla rilevanza della questione 
    Come si e'  accennato  in  narrativa  la  sentenza  impugnata  ha
statuito che la domanda  di  ripetizione  dei  c.d.  ''contributi  di
malattia'' svolta dalle societa' ASPES s.p.a. ed  ASPES  MULTISERVIZI
s.p.a. non puo' essere accolta; tale statuizione  e'  basata  su  una
determinata interpretazione dell'art. 6,  comma  2,  della  legge  11
gennaio 1943, n. 138. Avverso tale capo della  sentenza  le  societa'
sopra citate hanno proposto ricorso incidentale col  quale,  premesso
che la domanda originaria aveva  ad  oggetto,  in  particolare,  ''la
restituzione   dei   contributi   indebitamente   versati   detraendo
dall'importo   relativo   all'indennita'   di   malattia   rimborsate
dall'INPS'', hanno chiesto in forza di  una  diversa  interpretazione
del citato art. 6, la riforma, sul punto della della Corte  d'appello
di Ancona. 
    Appare pertanto evidente che,  per  la  delibazione  del  ricorso
incidentale, e' necessario fare  applicazione  dell'art.  6,  secondo
comma, della legge n. 138 del 1943. 
    Nelle more del presente giudizio e' intervenuto l'art. 20,  comma
l, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per
lo sviluppo economico,  la  semplificazione,  la  competitivita',  la
stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria),
convertito dalla legge 6 agosto 2008,  n.  133,  il  quale  ha  cosi'
disposto: Il secondo comma dell'articolo 6, della  legge  11  gennaio
1943, n. 138, si interpreta nel senso che  i  datori  di  lavoro  che
hanno corrisposto per legge o  per  contratto  collettivo,  anche  di
diritto comune, il trattamento economico di malattia, con conseguente
esonera   dell'Istituto   nazionale    della    previdenza    sociale
dall'erogazione  della  predetta  indennita',  non  sono  tenuti   al
versamento  della  relativa  contribuzione   all'Istituto   medesimo.
Restano acquisite alla gestione e conservano  la  loro  efficacia  le
contribuzioni comunque versate per i periodi anteriori alla data  del
1° gennaio 2009. Si tratta di una norma di interpretazione  autentica
del citato art. 6, secondo comma, secondo la quale: a) per un  verso,
i  datori  di  lavoro  non  sono  piu'  tenuti  al  versamento  della
contribuzione all'INPS  per  il  trattamento  economico  di  malattia
(primo inciso); b) le contribuzioni  comunque  gia'  versate  restano
acquisite  alla  gestione,  e  quindi  non   sono   suscettibili   di
ripetizione. 
    L'art. 20, comma 1, del decreto-legge  25  giugno  2008,  n.  112
citato,  e'  stato  oggetto  di  scrutinio  da  parte   della   Corte
costituzionale,   essendone   stata    denunciata    l'illegittimita'
costituzionale. Precisamente, la norma - eliminando, per i datori  di
lavoro inadempienti in epoca antecedente la data di entrata in vigore
dello  stesso  decreto-legge,  l'obbligo  contributivo  di   malattia
previsto  dall'art.  9  della  legge  11   gennaio   1943,   n.   138
(Costituzione  dell'Ente  «Mutualita'   fascista   -   Istituto   per
l'assistenza di malattia ai lavoratori») e  dall'art.  31,  comma  5,
della legge 28 febbraio 1986, n. 41 (Disposizioni per  la  formazione
del bilancio annuale e pluriennale dello Stato  -  legge  finanziaria
1986) e statuendo, altresi', che Restano acquisite  alla  gestione  e
conservano la loro efficacia le contribuzioni comunque versate per  i
periodi anteriori alla data del 1° gennaio 2009 - e' stata sospettata
di violazione  dell'art.  3,  primo  comma,  della  Costituzione,  in
quanto: a)  sebbene  formulata  come  una  norma  di  interpretazione
autentica,  costituirebbe  in  realta'  una  legge-provvedimento;  b)
irragionevolmente premierebbe  i  datori  di  lavoro  inadempienti  e
discriminerebbe quelli che hanno tempestivamente versato i contributi
dovuti. 
    La  Corte  costituzionale,  con  sentenza  n.  48  del  2010,  ha
dichiarato non fondata la questione. La Corte tuttavia - ed e' questo
il profilo di maggiore importanza per  la  presente  questione  -  ha
precisato: a) che oggetto della censura da parte del giudice a quo (e
dunque dello scrutinio di costituzionalita') era non gia' la  seconda
parte del comma 1 dell'art. 20 del  decreto-legge  n.  112  del  2008
(quella che esclude la ripetibilita' dei  versamenti  eseguiti  prima
del 2009), bensi' la sola prima parte del comma suddetto (quella  che
contiene la norma di  interpretazione  autentica  per  effetto  della
quale non sono dovuti i contributi da parte delle imprese che erogano
la retribuzione ai dipendenti in malattia); b)  che,  cosi'  limitato
l'oggetto dello scrutinio, la  questione  era  infondata,  in  quanto
l'art. 20, comma 1, del decreto-legge n. 112 del 2008: b1)  non  puo'
essere qualificato come legge-provvedimento, riferendosi ad un numero
indeterminato di destinatari e non concernendo un oggetto  rientrante
tra quelli propri dei provvedimenti amministrativi; b2) non  realizza
una sanatoria di comportamenti  illeciti  che  -  come  ritenuto  dal
giudice a quo - continuerebbero ad essere qualificati come tali;  b3)
introduce una nuova disciplina del contributo previdenziale  relativo
all'assicurazione  contro  le  malattie  e,   pertanto,   costituisce
espressione della discrezionalita' di cui gode il  legislatore  nella
conformazione  dell'obbligazione  contributiva.  La  Corte   ha   poi
affermato, testualmente, che In tale discrezionalita'  rientra  anche
la contestuale estensione retroattiva della nuova disciplina, la  cui
legittimita'  costituzionale  non  e'  inficiata   dalla   previsione
dell'irripetibilita'  delle  contribuzioni  versate  per  i   periodi
anteriori al 1° gennaio 2009. Cio' in quanto - ha aggiunto la Corte -
(...) come gia' rilevato da questa Corte in altra analoga fattispecie
(sentenza n. 292 del 1997), l'irripetibilita' di quanto versato prima
dell'entrata   in   vigore   del   nuovo   regime   dell'obbligazione
contributiva, piu' favorevole per i datori di lavoro, non  determina,
di per se',  l'illeggittimita'  dell'efficacia  retroattiva  di  tale
nuovo regime. 
    Nell'ultimo capoverso della motivazione della sentenza n. 48  del
2010  la  Corte   costituzionale   ha   peraltro   precisato:   Resta
impregiudicata, ovviamente, qualsiasi valutazione sulla  legittimita'
dell'esclusione della restituzione delle somme gia' versate a  titolo
di contributi di malattia,  prevista  nella  parte  della  norma  non
censurata. In sostanza, la compatibilita' costituzionale della  norma
di interpretazione autentica (art. 20, comma 1, del decreto-legge  n.
112 del 2008) in combinato disposto con la norma  interpretata  (art.
6, comma 2, della legge n. 138 del 1943) e' stata affermata  solo  in
relazione alla parte della norma oggetto di censura (prima parte), ma
la Corte ha ritenuto impregiudicata la questione  della  legittimita'
costituzionale della parte della norma non censurata - vale a dire di
quella relativa al divieto di ripetizione dei contributi gia' versati
all'INPS. 
    Nel presente giudizio, come si  e'  in  precedenza  rilevato,  la
Corte di legittimita' e' chiamata ad applicare  proprio  quest'ultima
parte della norma nella  sua  interpretazione  autentica  proveniente
dall'art. 20, comma 1, citato. Peraltro,  tale  applicazione  darebbe
necessariamente  un  risultato  scontato:  la  norma  interpretativa,
infatti,  vieta  la  ripetizione,  ragion   per   cui   ne   dovrebbe
necessariamente  seguire,  sul   punto,   il   rigetto   dell'appello
incidentale e la conferma del capo di sentenza da esso attinto. 
2. Sulla non manifesta infondatezza 
    Il parametro costituzionale di riferimento risulta, all'evidenza,
l'art.  3  della  Costituzione.  Infatti,  e'  proprio  il  carattere
retroattivo della norma interpretativa che sancisce  una  inevitabile
disparita'  di   trattamento,   priva   dei   requisiti   minimi   di
ragionevolezza.  Il  divieto  di  ripetizione  dei  ''contributi   di
malattia'' gia' corrisposti pone i soggetti che  hanno  correttamente
adempiuto a tale obbligo previdenziale in una condizione di oggettivo
pregiudizio rispetto a quanti hanno omesso, contravvenendo al dettato
normativa, il medesimo versamento. Tale effetto, peraltro,  non  puo'
qualificarsi come meramente accidentale o ''di fatto'' (e  come  tale
risultare    irrilevante,    secondo    la    nota     giurisprudenza
costituzionale),  trattandosi  di  effetto   de   iure   direttamente
discendente dal portato normativo della norma interpretativa.  Ne'  a
evitare la violazione del principio  di  eguaglianza  possono  valere
considerazioni meta giuridiche quali: a) il  prevedibile  contenzioso
(giudizi tendenti alla ripetizione dei contributi versati)  derivante
dall'eventuale declaratoria di  illegittimita'  costituzionale  della
norma; b) il  connesso  onere  finanziario  che  deriverebbe  per  la
restituzione da parte dell'INPS. E' quasi ovvio evidenziare, infatti,
che tali argomenti non inficiano il  dato  giuridico  di  fondo,  ne'
possono   costituire   una   ''giustificazione''   ad   una    palese
diseguaglianza normativa. Quest'ultima e'  tanto  piu'  irragionevole
considerando che la norma di interpretazione autentica  (''salvata'',
nella sua essenza, dalla pronuncia n. 48 del 2010) e' sopravvenuta  a
quasi sessant'anni dalla emanazione  della  norma  interpretata.  Ma,
soprattutto, a risultare irragionevole e'  la  premialita'  innestata
dalla norma:  vengono,  infatti,  ad  essere  beneficiati  proprio  i
soggetti  inadempienti  e,  per  contro,  vengono  penalizzati   (con
l'impossibilita' di ripetizione) proprio i soggetti  adempienti:  chi
non ha pagato in passato non dovra' piu' farlo; ma, chi ha pagato  in
passato, non potra' ottenere, in  restituzione,  cio'  che  oggi  (ed
anche ieri) non e' piu' dovuto.